Sogno e Castigo (Rêve et Châtiment)
G. Augustin
Gérard Augustin

Le monde dont parle Reza Hiwa est à la fois le monde quotidien que nous connaissons et un monde impossible. La poésie dont le but essentiel est de montrer à quel point ce monde est invivable, d'affirmer l'hostilité de l'homme à toute compro-mission avec un monde où les innocents sont massacrés, les enfants affamés et les pays dévastés, dont l'usage toujours renouvelé est de détruire tous les discours qui prétendent que ce monde est un monde souhaitable, enviable même, et de rendre dérisoire toute littérature apte à chanter le désir jamais las d'un tel déluge de mensonges et de tueries, d'un tel paradis narco-fiscal, la poésie véritable, dis-je, trouve son compte dans le livre de Reza Hiwa.

Ce livre révèle notre étrange idée du progrès, quand il faut au Persan du 20ème siècle fuir sa patrie, passant par les montagnes du Kurdistan, y retrouver ses frères ou ses cousins pour y réciter Hafez ou se livrer à des jeux poétiques, juste avant que ne se répandent les gaz mortels, venir en Europe, en France, avec peu de chances de retourner à Téhéran pour raconter les merveilles et les incongruités de la République française.

Malgré tout, l'idée du progrès, chère à l'Europe, est celle de Breton, "à la veille de 1930", telle est-elle "que nous sommes heureux et impatients de voir des yeux d'enfants, grands de tout le devenir, s'ouvrir comme des papillons...", de retrouver ici ces yeux, à l'intérieur de poèmes dialogués, de courts récits en vers où la malice de l'enfant est la seule arme contre l'inquiétante bonté de l'homme civilisé.

A travers ces poèmes, nous revivons à nouveau ce dépaysement qu'exige toute pensée, toute rêverie si elles se veulent efficaces. Il y a l'exotisme de l'amour et celui de la terreur, qui nous sont plus ou moins bien connus et que nous partageons avec l'auteur comme une longue errance ou une visite impromptue en prison. Il y a "la faculté de migration qui n'est positivement qu'aux oiseaux", dont parle encore Breton, et qui ne nous est octroyée que pour quelques instants, dans l'ambiguïté même d'une langue dont nous reconstruisons les origines, cette faculté de nous faire persans nous-mêmes et de parcourir Londres, désirer et souffrir dans la région parisienne, rire dans l'Eurostar, en quête d'une identité si pertinente, si exigeante qu'elle fasse du lecteur un otage de l'amour et le responsable de tous les autres lecteurs. Dans le jeu des trois langues, le français, l'anglais et le persan, l'exote moderne comprend que le voyage commence par les mots qu'il reçoit à nouveau de l'autre au moment où il se surprend à en oublier l'implacable rigueur et le don terrible de liberté.

Gérard Augustin, 2009

Dacia Maraini
Prefazione di Dacia Maraini

Sono figlie della necessità le parole che il poeta iraniano Reza Hiwa sottrae al silenzio. “Silenzio” si intitola una delle sue poesie, e il silenzio, si sa, è una %i vox media, tanto dolce quando regala la pace e un più profondo ascolto di sé e degli altri, quanto acre quando rivela l’impossibilità di esprimersi: “silenzio-assenzio”, direbbe il grande e compianto Zanzotto.

non dimenticate
mi raccomando
di vietare il silenzio

questa l’esortazione di Reza Hiwa, qualora fosse stata ritrovata la libertà per la quale infrangere il silenzio.

Tanti i dialoghi immaginari di Hiwa, rifugiato politico in fuga da un silenzio coatto, cantore di un’epica antieroica, di una poesia antilirica fatta di frammenti di vita, di una nostalgia sussurrata nella lotta per la ricomposizione, per la ricostruzione di sé e delle proprie radici, nel ricordo dei torturati o uccisi, di un popolo “eterno dannato”, simile a quello della sua amica kosovara Haida come due gocce di sangue

Colpisce la semplicità di Reza Hiwa e la sua dichiarazione poetica sembra tutta contenuta in una poesia dedicata a Bertolt Brecht:

Ci sono parole
nate per essere limpide
che devastano i cuori
per portare la cosa,

e ci sono quelle
che si rendono oscure
che devastano il senso
per decorare il vuoto

Potente è anche la spinta d’amore di Hiwa, un uomo alla ricerca dell’alterità umana e sentimentale. Il suo anelito arriva ad esprimersi con immagini chiare e decise nel rimprovero verso la donna amata nella lirica “Non mi lasciare”:

La prossima volta che mi lasci
per un giorno o per un secolo
o mi lasci il tuo cuore
o ti riprendi i tuoi ricordi

Hiwa scrive per la libertà, per la memoria, contro ogni violenza, censura o vendetta e sembra affermare, nel suo desiderio assoluto di amore, la formula capace di eludere il male:

e soprattutto non cercate
d’intossicarmi un giorno
mandandomi il gas
io respiro solo l’amore

Tuttavia, pur nella motivazione ad andare avanti, pur nell’ubriacatura di vita, Reza Hiwa non può nascondere del tutto le ferite del suo percorso e il suo canto di libertà nell’esilio, come quello di un Hikmet o di un Darwish, non è ancora del tutto cicatrizzato:

poiché in esilio
c’è una sola stagione
la siccità.


Dacia Maraini
Aprile 2012

Reza Hiwa
Due parole

"Sbrigati Reza! Tocca a te"

Dovevo recitare un verso che cominciasse con l'ultima lettera di quello detto dal mio vicino. Ma siccome ho sempre avuto una memoria a colabrodo, cercavo invano fin nell'ultimo angolino del mio spirito di bimbo, e troppo spesso cedevo il turno senza recitare nulla.

Fino al giorno in cui ho proposto la mia versione del gioco: chi inventa un nuovo verso che piace a tutti non perde.

Il mio emendamento fu adottato e il mio fratello maggiore ed io abbiamo trasformato il gioco in una sequela di deliri incontrollabili. Abbiamo istituito la fabbrica più assurda di versi insensati. Quarant'anni dopo, quando io ero a Parigi e lui in Kurdistan, per telefono mi ha recitato, con voce tremante, la mia prima poesia. (la chiamavamo così!) Le regole del gioco erano le stesse, a Teheran o in Kurdistan: tutta la famiglia giocava ; ci si metteva in cerchio, seduti per terra, i più anziani appoggiati ai cuscini posati lungo le pareti. Il più vecchio sceglieva chi doveva cominciare e ... ognuno a turno recitava a memoria un verso che cominciava con l'ultima lettera del verso précédente. E così via. Chi non riusciva a trovare un verso perdeva il turno. Non c'erano né vinti né vincitori. Il gioco proseguiva in una valanga di litanie, di scherzi, di prese in giro e di commenti fra due versi!

Un gioco d'elite! Mi sembra di sentirvi! Vi sbagliate! Era un gioco molto popolare. In ogni caso un tempo. Nella mia famiglia la maggior parte dei giocatori era analfabeta! Vi sbagliate ancora! Non erano con noi solo per fare numero, erano avversari pericolosi!

In Iran, ai miei tempi, si cresceva, fra l'altro, con le poesie. Le bevevamo, ci giocavamo, ci seppellivamo i morti ... In qualunque casa, anche in campagna, c'erano almeno due libri: il Corano e il Divân di Hafiz. Quest'ultimo, talvolta aveva come prima ragion d'essere, di servire a decidere se bisognava maritare la figlia, mandare avanti un progetto, fare un viaggio, vendere il bestiame, traslocare ... Si trattava di una cerimonia solenne, Fâl-e-Hafiz. Una buona cena, con un buon riso iraniano, alla presenza di membri importanti della famiglia, tra cui uno almeno sapeva leggere e, soprattutto, interpretare le poesie di Kâjé Hafiz. Al momento stabilito il saggio, l'interprete, molto spesso un giovane, si alzava e cominciava : "Oh Khâjé Hafiz di Shirâz ! ..."

Apriva una pagina a caso e leggeva il primo verso della poesia. Se il maestro parlava della primavera, dell'arrivo degli usignoli e del loro canto, ciò significava: Dai vecchio mio! Non ti preoccupare! Vai avanti così! Se invece ...

E Khâjé Hafiz, uguale a se stesso, restava sempre mistico, imprevedibile e grande saggio. Dei due libri indispensabili che ho citato, è senz'altro quest'ultimo ad essere più spesso consumato e liso. Se non capite questo particolare sullo stato di usura di questi due libri, perdete la chiave per capire questo paese e la sua civiltà.

"Un particolare persiano ?"

Non esattamente. Si giocava a questo gioco tanto a Teheran quanto in Kurdistan. Ci dev'essere una poesia in questa raccolta, spero, che descrive una serata poetica surreale in un villaggio kurdo, Halabja, sotto il fuoco incrociato e ininterrotto dei Peshmerga e dei soldati di Saddam Hossein.

"Un particolare kurdo ?"

Non esattamente. La poesia persiana è stata il cemento, la fierezza e la lingua comune di molti popoli in Oriente.

Fabbricare ricordi immortali e cementare la coesione degli uomini attraverso il gioco ; consolidare le relazioni e l'unità dei popoli che condividono la stessa Storia ... la poesia persiana ha sempre avuto una funzione sociale forte, evidente e riconosciuta in quanto tale.

Non è quindi sorprendente che qui, in Francia o altrove, io ricerchi la poesia carica di veleno. Quella dei miei fratelli di penna.

Siccome ho un piede in ogni tribù, vibro due volte al ritmo degli avvenimenti. Il che mi spinge talvolta a battermi per riunirmi con me stesso! Vedo talvolta scatenarsi una vera e propria guerra civile in me! Discussioni senza fine! Dialoghi tra sordi! Con tanto di tribunali, giudici, avvocati e testimoni! ... Insomma, un campo di battaglia ambulante!

E a parte le schegge e i proiettili vaganti, me ne infischio delle mie guerre civili private. Chiunque abbia la meglio, il vincitore sono io.

La parola esilio mi strappa un sospiro spontaneo invece d'ispirarmi una riflessione. Anche se vivendolo non è festa tutti i giorni, rifiuto di considerarmi una vittima e, tenetevi forte, lo auguro a tutti voi !

Il mio esilio è stata la mia università. è solo quando mi sono trovato fuori da casa mia, che ho cominciato a capire meglio ciò che mi circonda, ivi comprese le mie radici. Se un giorno oserò reclamare un'oncia di universalità per i miei crimini letterari, sarà proprio in questa università che l'avrò scovata.

Sulle tracce dell'eroe di Montesquieu nelle Lettere Persane, passo dalla meraviglia all'incomprensione e dalla gioia al pianto attraversando le città d'Europa. E più sto con gli esseri umani, più penetro nelle diverse lingue, più mi abituo alle usanze di qui; più mi ribello contro il cinismo diffuso che trovo a ogni angolo di strada; più mi riscaldo con l'amore e l'amicizia gratuiti e offerti agli stessi incroci ... e più credo all'unità dell'Uomo e a quella del suo destino. Ecco perché ho preso il mio bastone di pellegrino e sono andato cercarmelo.

Ed è alla salute di quest'Uomo che io brindo!

Il prossimo bicchiere sarà per Khayyâm!

Il 10-12-2008, 04.07
Il Nido

Parla, aquilone !

A Harold Pinter
Il silenzio in amore
Parola per parola
Dice esattamente ciò che la lingua non ha
Mai svelato
Il silenzio in guerra
Invece
È meno eloquente
E più complice
Durante l’altra guerra
Il cielo del mio paese
Credendosi un vulcano
Sputò tutta la sua bava
Per spezzare gli aquiloni
E i giovani piloti
Il silenzio degli aquiloni
È il più terribile
2007-10-31#21.00
Torino, Caffè

A che cosa somiglia un albero

A Marcos Ana,
Poeta spagnolo che passò 23 anni nelle prigioni di Franco.
Ha appena pubblicato un libro, Ditemi a che cosa somiglia un albero,
Che racconta la vita dal lato sbagliato del muro.
È arrampicandomi in cima agli alberi
Che mi sentivo libero e grande
Mi nascondevo agli occhi degli adulti
M'isolavo dalla banda
Per stare accanto al vento
Agli uccelli
E aggiustare i nidi
Che cosa è diventato da allora
Il mio albero di fragole bianche 
Che in persiano chiamiamo “tut”?
Mi teneva sempre da parte
i frutti migliori
e io gli riservavo a mia volta
le confidenze più segrete
mi offriva i miei ricordi più fedeli
e io gli offrivo la mia amicizia di bimbo smarrito
Si cancellano a poco a poco
I ricordi
Dimentico i visi dei compagni
Confondo i nomi
Oggi
Dietro a questi muri che disegnano l'orizzonte del mondo
In questa cella che fa ormai parte di me
I ricordi del mio amico
Non mi abbandonano
Il 25-10-2007 / 12.50
Aereo (Parigi -> Manchester)
Reza Hiwa
Reza Hiwa

Reza Hiwa est un poète, né à Téhéran en 1955 de parents kurdes immigrés dans un quartier ouvrier. Il grandit comme un immigré chez lui, obligé de cacher ses origines kurdes et surtout le fait que ses parents étaient sunnites. Il vit toute la jeunesse dans ce quartier où se mélange la mosaïque ethnique du pays. La misère pousse toujours les laissés pour compte des provinces vers les métropoles.

Il entre à l'université pour faire plaisir à ses parents et devenir ingénieur, le symbole de la réussite sociale. Mais il a la tête ailleurs. Les veilles d'examens il passe son temps avec Beethoven, Marx et Hugo, et au lieu d'étudier la résistance des matériaux il est obsédé par un autre type de Résistance.

Il se bagarre contre deux dictatures et connait la clandestinité et l’exil. Ce dernier le conduit jusqu'à l'Europe dont il adopte les pays, les langues et les rites. La rencontre avec l'amour le rend père de trois enfants. Quand il parle d'eux, ses yeux brillent. Il butine la vie et ses habitants et s'émerveille presque à chaque pas.

Il découvre enfin un jour son livre fétiche : l'Homme, qu'il lit avec boulimie. Les conversations de trottoirs le passionnent davantage que les discussions savantes. Où qu'il se trouve, il cherche à reconstruire une tribu !

Il dit qu'il est poète parce qu'il a découvert la femme chez lui et qu'il doit tout à l'amour des femmes.

Aujourd'hui il se sent de nouveau en résistance et a repris ses mauvaises habitudes de jeunesse : dire NON !

Pagina Errata Corrige
Dos Crime e Châtiment Rêve et Châtiment
75 abbandonato agli strali abbonato ai colpi duri
78 Il y des mots Il y a des mots
147 un giorno il giorno
165 dalla grande tormenta dopo la grande tormenta
192 connais connait
192 exile exil
192 cette dernière ce dernier